anniversario

12.04.2015 23:40

DON PRIMO MAZZOLARI

Cinquant’anni fa, prima di morire il 12 aprile 1959, Don Primo Mazzolari ebbe due intimi momenti di gioia: il 25 gennaio 1959, Papa Giovanni annunciava il Concilio e il 5 febbraio il Papa bergamasco lo riceveva in udienza, a suggello di una «riabilitazione ecclesiale» alla quale aveva dato un contributo determinante il Cardinale Giovanni Battista Montini chiamandolo a predicare nella «Missione di Milano». Una riabilitazione ampiamente meritata se il Cardinale Carlo Maria Martini, afferma: «Don Primo fu profeta coraggioso e obbediente, che fece del Vangelo il cuore del suo ministero. Capace di scrutare i segni dei tempi, condivise le sofferenze e le speranze della gente, amò i poveri, rispettò gli increduli, ricercò e amò i lontani, visse la tolleranza come imitazione dell’agire di Dio. Il suo è un messaggio prezioso anche per l’oggi».

Con gli immigrati

Primo Mazzolari nasce al Boschetto, periferia di Cremona, il 13 gennaio 1890 da una famiglia di contadini. A 10 anni con la famiglia si trasferisce a Verolanuova, nella Bassa bresciana, nel 1902 entra nel Seminario di Cremona e, dopo gli studi, il 25 agosto 1912 è ordinato sacerdote nella chiesa parrocchiale di Verolanuova dal Vescovo di Brescia Mons. Giacinto Gaggia. È lo stesso vescovo che il 29 maggio 1920 ordinerà Don Montini, di 7 anni più giovane di Mazzolari.

Viceparroco a Spinadesco e al Boschetto, insegnante di lettere nel Seminario di Cremona, nell’estate 1914 va in Svizzera, ad Arbon, per gli emigrati italiani rimpatriati dalla Germania. Infatti nel 1915 l’Italia entra in guerra e Don Mazzolari è soldato semplice a Genova, poi caporale all’ospedale militare di Cremona, infine nel 1918-20 cappellano militare: delle truppe italiane in Francia, degli Alpini sul Piave, poi nell’Alta Slesia in Polonia. Una vita di sofferenza e condivisione che lo segnano profondamente, come la morte al fronte del fratello Giuseppe e l’abbandono del sacerdozio dell’amico Don Carletti.

Al rientro, nel 1921 il Vescovo, Mons. Giovanni Cazzani lo nomina parroco di Cicognara. Inflessibile la sua opposizione al fascismo: nel 1931 gli squadristi sparano tre colpi di pistola alla sua finestra. Nel 1932 è nominato parroco di Bozzolo da dove inizia un percorso ecclesiale e pastorale, letterario e sociale legato ai movimenti politici italiani. Dal 1941 partecipa a Milano al movimento clandestino neoguelfo contro il nazifascismo e, dopo l’8 settembre 1943, collabora alla resistenza partigiana: arrestato e rilasciato tre volte, ricercato dalle SS per un mandato di cattura, entra in clandestinità e si nasconde a Gambara (BS) e poi a Bozzolo.
Dopo la Liberazione cerca di evitare le vendette e prepara i giovani a una nuova stagione democratica. Nel 1949 fonda il quindicinale Adesso di cultura sociale e politica, che gli procura dieci richiami dall’autorità ecclesiastica e la chiusura temporanea nel 1951. In quell’anno convoca a Modena un convegno sulla pace proponendo agli italiani «un patto di fraternità». Nel 1954 il Sant’Uffizio – guidato dal Cardinale Alfredo Ottaviani, «il carabiniere di Dio», gli proibisce di predicare fuori dalla diocesi e di scrivere.
Ma dopo il pontificato pacelliano, arrivano Papa Giovanni e il Concilio. Montini lo invita a predicare nella «Missione di Milano» e Giovanni XXIII lo riceve in udienza privata. Due riconoscimenti importanti, anche se in extremis. Colpito da ictus mentre predica nella Messa domenicale, Don Primo muore a Cremona il 12 aprile 1959.

Sempre nella Chiesa

Don Mazzolari, nonostante le censure ecclesiastiche, non si sente fuori ma dentro la Chiesa con un’incredibile capacità di profezia: avverte acutamente i passaggi della storia, le tensioni politiche, le sofferenze dei poveri, i dubbi dei lontani, le attese dei giovani. Dalla sua terra «nella Bassa» apre gli occhi sulla Chiesa nel mondo, con uno sguardo profetico che sa coniugare l’«a­desso» e il «domani», il «già» e il «non ancora».

Nella sua terra, sugli argini del Po, egli legge in varie occasioni «la Parola che non passa», il Vangelo, e recupera nei gesti e nelle parabole di Gesù alcune sollecitazioni che segnano profondamente il travaglio della sua coscienza e le sue scelte che passano sotto il segno dei chiodi.

Nell’ascolto della Parola di Dio, Mazzolari rilegge «la più bella avventura», quella del perdono di Dio al figliol prodigo e del giudizio del fratello maggiore. Proprio la sua rilettura del perdono di Dio lo farà cadere in disgrazia. Il libro, La più bella avventura sarà condannato per «le idee erronee» ma per Don Primo segna l’inizio del dialogo con i lontani, fissa la distinzione tra errore ed errante – che caratterizza l’esperienza e il magistero di Papa Roncalli – gli insegna la tolleranza.
Per lui la Chiesa è «la casa» dove Dio torna ad amare continuamente l’uomo e dove si impara che «Dio è amore». La Chiesa come «casa» è coniugato in cinque modi: la Chiesa casa del Padre, la Chiesa casa della redenzione, la Chiesa casa della libertà, la Chiesa casa dei poveri, la Chiesa casa della testimonianza.

La parrocchia come casa

In questa concezione di Chiesa aperta, attenta e in ascolto non c’è spazio né per il clientelismo né per il clericalismo. Nella Lettera sulla parrocchia Mazzolari insiste sulla parrocchia come «casa»: «Nella parrocchia la Chiesa fa casa con l’uomo: la sua missione gerarchica, dottrinale e carismatica vi si inizia e vi si fissa, e l’uomo concreto – nome, volto, cuore, fragilità e destino eterno – si innesta e rifluisce nel corpo mistico del Cristo». In una casa così – aggiunge – «il parrocchiano ha diritto di incontrarvi il suo travaglio, la sua passione, la sua fatica quotidiana; non solo come spesso accade, attraverso l’asprezza del pulpito o del bollettino, ma nella verità del giudizio cristiano, il quale mentre dà il criterio di ciò che dovrebbe essere, dà pure la forza di superare certe posizioni incomplete e false. Anche gli errori vi hanno voce poiché la Chiesa, pur condannandoli, rispetta ogni rettitudine di ricerca e ricapitola ogni briciola di verità».

Il modello del prete

Dalle sue pagine emerge un modello di prete che mette al centro della propria spiritualità l’ascolto di Dio el’incontro con l’uomo dentro e fuori la parrocchia. Di questa preoccupazione traboccano i suoi scritti, le pagine di Diario e alcuni articoli di Adesso sul quale il 5 giugno 1949 scrive: «Non conosciamo più le nostre pecore, non sappiamo chiamarle per nome una a una. Crediamo che possa bastare il generico, mentre c’è un bisogno di essere capiti come siamo e di essere portati a spalla sull’e­sempio del buon pastore.

Ne viene di conseguenza che se non andiamo a cercarli dove sono, se non li comprendiamo come sono, se non li amiamo come sono, qualcuno lo potremo trapiantare nell’orto del presbiterio, ma la massa resterà fuori anche quando un richiamo spettacolare ce la porterà in processione o in chiesa. La parola è spada e tritolo, che spacca e sommuove, sa urlare e imprecare; è una grazia che bisogna domandare, a costo di finire come di solito finiscono i profeti. Questa parola che non rende, che brucia e consuma chi la porta, è la sola che il popolo può ancora capire, perché l’Evangelo è stato portato sulla terra per essere predicato al popolo».

Da Bozzolo egli vede e scruta i «segni dei tempi» con il linguaggio della carità, indicato chiaramente nei due scritti Il samaritano e I lontani. Nella carità e nei poveri vede i «segni dei tempi» che interpellano la credibilità della Chiesa. Così nel volumetto La parrocchia rilegge questa istituzione in chiave di servizio dei poveri: «Una parrocchia senza poveri cos’è mai? Una casa senza bambini, forse anche più triste. Purtroppo ci siamo così abituati a case senza bambini e a chiese senza poveri, che abbiamo l’impressione di starci bene. I bambini scomodano, i poveri scomodano».

Il compito dei giovani

Ai giovani, che considera importanti in parrocchia e nella costruzione della città, dedica Impegno con Cristo – la quarta edizione nel 1963 sarà dedicata a Giovanni XXIII, «parroco del mondo» –, un manuale di educazione alla responsabilità civile e sociale. Scrive Mazzolari: «È mortificante la carità, che suggerisce a un giovane: basta che gli diate da mangiare per questa sera. Vi dico che basta ancor meno. Ma se voi ponete un limite di questo genere o di altro genere alla carità, se la riducete a un’assistenza materiale, se impedite al mio occhio di vedere “cieli nuovi” e “terra nuova”, se mi togliete di arrischiare qualcosa di mio per questa novità che mi splende nel cuore, non so che farmene della vostra carità. Io voglio una carità che mi impegni mente, cuore, sogno: che mi invada con la sua pietà, la quale grida da ogni parte del mondo con il grido del Crocifisso: “Perché mi hai abbandonato?”.

È mortificante ogni carità che vuole togliermi il dovere della rivolta verso un mondo che moltiplica l’infelicità. Molti possono mangiare, bere, ruminare e divertirsi in pace, perché non sono straziati dalle voci del dolore. C’è ancora troppa gente che si illude che basterà una legge per regolare i guai di quaggiù, senza impegnarsi a fondo, senza impegnare la nostra coscienza contro il nostro egoismo».

La prima e la seconda guerra mondiale, l’interventismo e il patriottismo lo inducono a sposare con audacia la scelta dell’obiezione di coscienza alle armi, che illustra in una serie di articoli in risposta ad alcuni quesiti sulla guerra e sul servizio militare posti da alcuni giovani della Fuci, e poi nel libro Tu non uccidere.

Il volume, pronto nel 1952, fu pubblicato da “La Locusta” nel 1955, dopo che vari editori avevano rifiutato la pubblicazione: «Come cristiani dovremmo essere davanti nello sforzo comune verso la pace. Davanti per vocazione, non per paura, opponendoci a militari, politici e banchieri che sono i signori della guerra. Alcuni diranno che la nostra tesi sarà sfruttata dai comunisti. Noi crediamo che non sia una ragione valida tacere una cosa che si sente di dover dire perché può servire la tesi avversaria».

                                                                                            Pier www.donbosco-torino.it

Giuseppe Accornero

 


 

I suoi libri

Le sue opere principali sono:
– La più bella avventura (1934), 
– Il Samaritano (1938), 
– Tra l’argine e il bosco (1938), 
– La Via Crucis del povero (1939), – Tempo di credere (1941), 
– Impegno con Cristo (1943), 
– La samaritana (1944), 
– Il compagno Cristo (1945), 
– La pieve sull’argine (1952), 
– La parola che non passa (1954), – Tu non uccidere (1955), 
– La parrocchia (1957), 
– I preti sanno morire (1958).
Titoli secchi, contenuti alti e forti per quei tempi, per la Chiesa e la società.